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Valentina Marini

Jul 12, 2022
Riprogettare l’Employee Experience

Esperienze piene di Senso: come?

Tra chi non vedeva l’ora di tornare alla vita d’ufficio e chi si chiede tutti i giorni, in mezzo al traffico, il senso del rientro. Più o meno questo è il grande spaccato tra i pensieri diffusi, in mezzo chi cerca o persegue un mix ibrido ma che è in difficoltà se in sede non trova il tempo per fermarsi in presenza con i colleghi o ambienti idonei per collegarsi in riunioni da remoto e chi, invece, non ha subito molte variazioni nel suo quotidiano lavorativo se non l’adattamento alle diverse disposizioni, a partire dalla mascherina che ha reso tutto più complesso (come l'annientamento del sorriso, che per definizione è quell'ingrediente che rende la vita più bella e leggera).

 

Per chi si occupa di Persone, il ripensamento dell'esperienza è sicuramente la vera priorità considerando, oltre alle necessarie messe in discussione alla luce dei cambiamenti, i dati che stanno emergendo nelle organizzazioni. Si sta assistendo ad un crescente malessere dei lavoratori. Come riportato nell’articolo di Marco Cimminella per La Repubblica, e che sintetizza lo studio dell'Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano (da cui si evince come nell’ultimo anno il tasso di turnover sia aumentato per il 73% delle aziende):

“Le ragioni che spingono a cercare nuove opportunità sono diverse. Domina il desiderio di maggiori benefici economici (46%), ma è fortemente sentito anche il bisogno di cercare nuove opportunità di carriera (35%). Tuttavia, una buona percentuale di persone cambia lavoro anche per motivi di salute fisica o mentale (24%), per inseguire le passioni personali (18%) o per ottenere una maggiore flessibilità dell'orario di lavoro (18%). In particolare, ansia, stress, stanchezza eccessiva sono tutti esempi di un malessere che logora il lavoratore, con dannose ripercussioni anche a livello fisico, come la difficoltà a riposare bene o l'insonnia.”

 

Se il focus è controllare il rientro in “ufficio”, si continua a perseguire un approccio manageriale “Plan e Control” ma, come ci aiutano a riflettere Marina Capizzi e Tiziano Capelli nel libro pubblicato in lingua inglese a cura di Harvard Business Press e che Primate Srl - Società Benefit e B Corp™ ha presentato alla comunità italiana, abbiamo sempre più bisogno di passare ad una managerialità “Sense e Respond”: percepire e rispondere, una sintesi semplice ma rivoluzionaria.

Va ripensata a 360 gradi l’esperienza lavorativa in azienda (e sottolineo in azienda; questo spaccato sta riflettendo una situazione prevalentemente aziendale, che non significa assolutamente tutte le professioni).

 

Per riempire le esperienze lavorative di un rinnovato Senso, c’è bisogno di ripartire dai tre elementi alla base: cultura, tecnologia e spazio fisico. Questi elementi vanno rivisti ben considerando quella continua commistione tra dimensione online e offline, come la sempre minore separazione tra vita personale e professionale e quindi vera concretizzazione del concetto di “Work-Life Integration”. 

Dovremmo riprogettare l’Employee Experience pensandola come “la creazione di un'organizzazione in cui le persone VOGLIONO, non HANNO BISOGNO, lavorare ogni giorno” (cit. Jacob Morgan).

Il modo, gli strumenti e gli spazi per lavorare: su questi tre punti va focalizzato il ragionamento quindi, tra confini labili, come precedentemente sostenuto, e in un momento storico di “scelta umana aumentata” (come riportato in un mio precedente articolo).

 

L’approccio più efficace prevede:

- la collaborazione e la contaminazione (vedere cosa fanno gli altri, confrontandosi),

- la sperimentazione del nuovo (perché se il mondo intorno a noi sta cambiando, non è oggettivamente possibile pensare che processi, procedure e strumenti previsti ante COVID siano ancora efficaci)

- l’ascolto attivo (non solo di survey anonime, senza volti e vera voce)

- l’attenta scelta delle domande da porsi come, ad esempio: cosa motiva le persone? Com’è la qualità dell’esperienza in sede e fuori? Ci sono e perché mal di pancia o crescenti disagi? Quali sono i momenti più importanti della vita delle nostre Persone? Gli strumenti offerti sono in linea con il mercato e aggiornati rispetto alle esigenze cambiate? Ci sono sufficienti e adeguati spazi per collaborare e per lavorare in riservatezza? Cosa rende distintivo e unico questo spazio lavorativo? Come è agevolato il lavoro ibrido e le riunioni tra fisico e digitale? Quanto e come le persone sono informate, ingaggiate e motivate nei valori e negli andamenti aziendali? Quali “spinte gentili” possono supportare lo sviluppo di abitudini che promuovano nuovi modi di lavorare?

 

Semplicemente nuove domande, per trovare diverse risposte per un “rinnovato senso”. Sono morti concetti e prassi che hanno funzionato da stella polare per generazioni di manager. Ecco perché concludo con il testo di Marina Capizzi e Tiziano Capelli, prima citato e che nella dedica si rivolge:

alle persone che vivono nell’epoca digitale ma ancora agiscono come nell’era industriale.
Chi ha la responsabilità di guidare le organizzazioni, ha anche quella di cercare la nuova strada.”

 

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