by
Valentina Marini
Il viaggio dei "DATTER".
Questo voglio raccontare nella seconda rubrica che mi vede coinvolta con Digital Attitude. Se in “Surfer People” dialogo con chi all’interno delle aziende surfa sulle onde dei cambiamenti organizzativi, qui desidero scoprire e mettere a fattor comune cosa c’è nei sogni, negli studi, nelle esperienze e, più in generale, nel “mindset” di chi - in questo periodo contrassegnato dalle “grandi dimissioni” - investe, lavorando giorno e notte, spinto da un forte credo.
Parto dal nome, per me non scontato.
Dàt·ter, chi crede in Digital Attitude.
Ma non solo: chiunque lavori per trasformare un sogno condiviso in realtà
Sinonimi: Nerd, sognatore, scopritore di nuovi mondi.
Persone accomunate dalla centralità nell’ascolto: per guidare e abbracciare le reali esigenze di chi affronta il viaggio straordinario del cambiamento. Persone convinte che il miglior modo per crescere sia basato sul fare e sulla capacità di prendersi cura di se stessi, degli altri e del contesto in cui viviamo.
Persone che conoscono cosa significa prendersi una responsabilità e amano quella sensazione. Eh già, perché i Datters hanno e avranno sempre la mentalità da startupper: velocità, agilità, spirito d’iniziativa e voglia di osare sono alla base del loro approccio a un mondo che cambia.
Questa breve descrizione è ciò che ho letto nel loro manifesto, che consegnano a chi entra nel team ed è quello che mi ha convinta che ognuno di loro potesse avere una storia interessante da raccontare per ispirarci. Così ho pensato di far emergere i loro punti di vista e le loro esperienze.
Ad inaugurare questa rubrica, Luca Argenton – CEO di Digital Attitude, DATTER sin dal principio.
Tra le tante istantanee che mi riportano a quando ero piccolo, le prime che mi vengono in mente sono quelle che si colorano dei suoni, dei sapori e delle abitudini della vita in famiglia. È lì che ho imparato a essere il papà, il marito e l’uomo che sono oggi.
Penso ad uno scatto con mio papà, la prima volta a San Siro. Ricordo l’emozione straripante nel vedere lo stadio che si apre davanti a me, avvolto dalla passione e dall’entusiasmo di quasi 80.000 persone. In quel momento ho capito che per me lo sport poteva rappresentare un sogno professionale.
Dopo il liceo ho avuto la fortuna di andare a studiare in Australia e lì, quasi per caso, ho scoperto la psicologia e la sua declinazione nel mondo dello sport. Rientrato in Italia, ho coltivato quel percorso. Sono diventato uno psicologo, ho ottenuto un Ph.D in Psicologia della comunicazione e un Master in psicologia dello sport.
Durante il Master ho conosciuto una persona per me molto speciale: Marisa Muzio, Psicologa, Mental Trainer di atleti e squadre professionistiche, di Squadre Nazionali, di medaglie olimpiche e di primatisti mondiali. Marisa per me non è stata solo un grande maestro, ma una vera e propria bussola nella costruzione del mio percorso professionale. Mi ha insegnato cosa significasse (davvero!) lavorare e come sia possibile fare la differenza in contesti sempre più sfidanti. Insieme abbiamo lavorato con atleti, allenatori, manager e dirigenti di società sportive di ogni genere e grado. Dai medagliati olimpici e i giocatori di serie A, fino a chi per la prima volta si approccia allo sport. Ognuna di queste esperienze aveva un minimo comun denominatore: il successo – e parlo del successo vero, quello che vive nel tempo – non può prescindere da preparazione, sacrificio, determinazione e benessere. Elementi che valgono nello sport, come nella vita; ma anche in azienda.
Forse è proprio questa la connessione tra ciò che sognavo di fare da bambino e quello che faccio oggi, a contatto costante con le organizzazioni e le loro sfide di cambiamento.
Parto da “OPEN. La mia storia” di Andre Agassi perché è una storia di vita vissuta, di sacrifici, tormenti personali, familiari e di scelte; di scelte autentiche, coraggiose, a volte impopolari. Una storia che racchiude l’essenza profonda della vita. E che mi ha fatto pensare un po' anche a me.
All’Università prima e al lavoro poi, sono sempre stato considerato come un “talento”. Una parola che mi ha sempre fatto un po' incazzare (lo possiamo dire, vero Vale?). Senza falsa retorica: non mi sono mai sentito più dotato degli altri. Tuttavia, ho imparato a coltivare le mie attitudini, senza paura di sacrificarmi, di fare il lavoro sporco, di prendermi una responsabilità e di cogliere un’opportunità, anche se non mi sentivo ancora pienamente pronto per farlo.
Per il film, penso a un classico di filosofia contemporanea: Kung Fu Panda J . ll Maestro Oogway insegna: “Ieri è storia. Domani è un mistero ma oggi è un dono, per questo si chiama presente”. Tanta roba. Nell’ambizione che ci proietta al futuro o nel radicamento che abbiamo con la nostra storia, non possiamo perderci il dono più prezioso: il qui ed ora. E’ qui che si gioca la nostra partita.
La canzone, invece, è Buongiorno Vita di Ultimo. C’è un pezzo del testo che mi risuona spesso in testa in questi giorni:
“Scopri te stesso quando è primavera
Perché c'è un fiore e prima qui non c'era”
Penso ad un’esperienza molto fortunata, un bellissimo progetto portato avanti con una delle principali aziende italiane nel settore Energy. Dovevamo mappare il livello di engagement e di benessere delle persone che lavoravano in quelli che loro definivano “not friendly environment”, come il deserto, la tundra, o una piattaforma isolata in mezzo al mare. Un progetto che mi ha insegnato che ascoltare non ha confini e che il benessere si costruisce nei piccoli gesti, oltre che con l’esempio.
Mi viene subito in mente uno dei primissimi progetti fatti su un grande cliente. Eravamo stati scelti perché avevamo una soluzione tecnologica innovativa e davvero distintiva. Purtroppo, in quella occasione, la tecnologia non ci ha supportato… non ha funzionato nulla. E l’esperienza analogica non è stata capace di replicare le aspettative che il digitale aveva creato.
Le lesson learned?
Sicuramente l’importanza della preparazione, esattamente come nello sport dove la gara la vinci nell’allenamento. Non solo: un piano B come elemento essenziale nell’operatività e una risposta intelligente ad un possibile e probabile imprevisto che può capitare. Ma soprattutto, il senso di fiducia di Methodos, la società che ci aveva presentato quell’opportunità, che ha continuato a credere in me, andando oltre quel “fallimento”. Se oggi Digital Attitude, che è parte del gruppo Methodos, esiste è anche grazie a quell’insuccesso.
Digital Attitute per:
Lesson learned. Ciò che ho imparato con Digital Attitude è di gran lunga più grande di ciò che ho saputo portare io alla nostra realtà.
Un passo alla volta. Piccoli input per costruire grandi cambiamenti. Questa è la nostra filosofia: un nudge alla volta.
Coerenza perché siamo sicuramente una società fatta non solo di persone toste, ma persone di valore e con grandi valori.
Attitude, perché se tanti cercano la risposta nella tecnologia , quello che conta invece è nell’approccio. Come vediamo quello che ci capita? Una sfida o una sfiga (come direbbe L.Mazzucchelli)? Quella “d” o “g” fanno tutta la differenza del mondo…