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Valentina Marini

Jun 15, 2022

L’Onboarding e quel “non detto” premonitore

È il tuo primo giorno di lavoro. Ti hanno chiesto di essere in sede alle nove. Arrivi un po’ prima per non iniziare con il piede sbagliato, bevi un caffè lì vicino, cominciando a prendere confidenza con il quartiere. Ti avvicini alla sede, vedi gente arrivare. Com’è vestita? Cosa fa? Dove guarda? Cosa starà pensando? Quali sono le emozioni che riesci a percepire nel loro inizio di una nuova giornata in questa azienda?

Sono le nove. Da questo momento, anzi in realtà già da quello che hai iniziato a respirare poco fuori, vivi ciò che influenzerà le tue percezioni nel farti pensare se hai fatto o meno la scelta giusta, accettando questo nuovo lavoro.

Sì, stiamo parlando di un “non detto” di estrema importanza, che comunica tantissimo di un’azienda, della sua cultura e dei suoi valori. È ciò che parla alle nostre pance e ormai sappiamo bene che non abbiamo un solo cervello ma ben tre (unito al cuore e alla pancia). Tutto quello che accade o non accade in questa fase – come tutto ciò che è accaduto dal primo contatto in fase di selezione – racconta aspetti di estrema importanza, da non sottovalutare in quanto importanti indici previsionali della nostra vita all’interno di quella realtà organizzativa.

  • Vi ha accolti il vostro capo diretto? (se non lo ha fatto, scappate immediatamente!)
  • Siete stati presentati e come al team e agli altri dell’azienda? (se non c’è una presentazione, avete già un’indicazione del lavoro di squadra…)
  • Quali informazioni organizzative e logistiche avete ricevuto e con quali modalità? (se non c’è una procedura chiara, avete la prima di una più lunga gara alla ricerca perduta delle informazioni…)
  • Cosa vi è stato consegnato per celebrare questa nuova appartenenza, un KIT? Cosa c’è dentro? (se non vi è stato dato nulla, non c’è probabilmente una particolare attenzione ad alimentare il senso di appartenenza e sarà difficile pensare particolari altri benefit)
  • Com’è il PC che vi hanno assegnato, la vostra postazione, gli arredi? (da qui potete capire molto della cultura e dell’impostazione organizzativa, come l’attenzione agli aspetti ergonomici per le proprie persone)
  • Come sono i muri, gli spazi in condivisione, le sale riunioni, i bagni, la intranet/social aziendale, ecc.? (da qui potete comprendere il grado di innovazione dell’azienda, l’attenzione all’Employee Experience e l’esistenza o meno di una chiara responsabilità in questa attività – se assente, come la comunicazione interna, vivrete probabilmente scarsa collaborazione e sicuramente costante senso di mancanza di informazioni e vicinanza al mercato esterno)
  • Come sono i volti delle persone nei corridoi? (se vedete grandi sorrisi, potete ben pensare di stare in un ambiente familiare e accogliente)
  • C’è qualcuno che vi sta mettendo in condizione di comprendere bene – e in modo strutturato - le attività da fare o siete lasciati a voi stessi nella speranza che qualcuno vi dica cosa dovete fare? (anche questo fa capire lo stile manageriale e quello che vivrete con il vostro capo…)
  • Vi è stato assegnato un Buddy – un mentor, un “amico” per i vostri primi mesi di lavoro? (questo denota un’attenzione speciale alle persone poi ovviamente dipende da chi vi assegnano in questo ruolo e alla sua propensione relazionale, che fa tutta la differenza e anche dalla scelta dei Buddy potete capire di più dell’azienda)
  • C’è un Coach online che può guidarvi in tutte le vostre prime volte in azienda e con nuovi strumenti? (se c’è, siete in un’azienda particolarmente innovativa e attenta allo sviluppo del digital mindset)
  • Come avete passato il primo pranzo, avete la mensa, i ticket o vi hanno invitati fuori - e se sì chi -? (se non pranzano, sapete da subito che per “cultura” qui il work-life balance è una parola solo da manuale e che non si può seriamente portare avanti come “battaglia” perché il lavoro no-stop è uno status symbol…)
  • Ci sono delle sale relax e, se sì, come sono organizzate, ci sono acqua o qualche bene di prima necessità – come frutta o snack? (se ci sono, anche qui, c’è un’attenzione al benessere delle persone)
  • Ci si dà del tu o si fa differenza e se si fa differenza come? (altro aspetto culturale, da matchare con la propria personalità)
  • Hanno comunicato online il vostro ingresso? (qui si evince un’attenzione alla valorizzazione delle persone e, contemporaneamente, un approccio alla comunicazione organizzativa più smart).

Queste sono solo alcune delle domande, la cui riposta offre tanti chiari segnali che io mi sono limitata ad esporre con semplici generalizzazioni che richiedono – ovviamente – un’analisi più approfondita. 

Se da una parte per ogni persona che entra in un nuovo lavoro è fondamentale sapersi guardare intorno e capire dove si è inserita – comprendendo l’essenza organizzativa che passa dal non detto come negli esempi prima citati -, dall’altra per l’organizzazione significa ancora una volta disegnare e rivedere le esperienze delle proprie persone che non cercano più solo un lavoro (ho parlato l’altra volta di “scelta umana aumentata”).

In questo caso specifico stiamo parlando dell’Onboarding, quindi del processo successivo all’assunzione che comporta l’inserimento del nuovo dipendente all’interno dell’azienda, dove “il neoassunto dovrebbe acquisire tutte le conoscenze, le competenze e apprendere i comportamenti per diventare parte integrante dell’azienda, sia a livello organizzativo che di cultura aziendale (Corporate culture). Solo in presenza di tutti questi elementi si può dire che l’inserimento dei nuovi dipendenti in azienda è stato portato a termine con successo” (cit. In-recruiting).

L’obiettivo strategico di questa fase, come riportato nello stesso articolo di In-recruiting - è “fornire al nuovo dipendente tutti gli strumenti per essere completamente operativo, integrato con la struttura aziendale e produttivo, così da garantire buone performance nel tempo.”

Questo è, infatti, il touch point più importante del Candidate Journey: è fondamentale che ogni nuova risorsa sia da subito ingaggiata, sentendosi parte dell’azienda. Come anticipato, tale processo – per essere efficace - parte dall’attenzione alla più estesa Candidate Journey, quindi del “viaggio” del candidato a partire dal primo contatto.

Tra digitale e reale, sono diverse le attività che si possono proporre al neoassunto (come ai candidati e ai più consolidati collaboratori) ma, come sempre, prima di pensare all’innovazione, che oggi offre una moltitudine di soluzioni variegate (basti pensare alle tante startup che si occupano del tema), è fondamentale non perdere le basi (a mio avviso racchiuso nelle domande iniziali) per assicurarsi da subito la fiducia e l’orgoglio. In sintesi, lo rafforzo: non può esserci innovazione dove manca il basic. E spesso il basic si perde nella comunicazione perché tanti fanno ma pochi comunicano e chi non comunica è come se non avesse fatto… Ancora una volta chiediamoci perché la comunicazione interna sia ancora percepita un “nice to have”, qualcosa che fa storcere il naso al momento del budget, se da mettere in comunicazione... Peccato che spesso i problemi organizzativi risalgono alla stessa origine: poca o assente comunicazione. Anche nell’Onboarding in questo caso. “Non si può non comunicare” dice il primo assioma della comunicazione e anche in questo caso: quanto si comunica nel non detto sin da subito…

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