by
Valentina Marini
“In un’era di costanti cambiamenti”
“Nello scenario contrassegnato dalla trasformazione”
“Stiamo vivendo una rivoluzione epocale”.
Più o meno è questo ciò che leggiamo come premessa di tanti contributi di letteratura o articoli di attualità. Sembra che stiamo vivendo uno sconvolgimento come mai prima di ora. Ma siamo davvero sicuri che questo stia accadendo solo a noi e solo in questa fase storica? Probabilmente, e più semplicemente, stiamo sempre e solo parlando di cambiamento, come parte integrante della vita umana, ma declinato (forse per moda?) in una visione di stra-ordinaria eccezionalità storica.
Se penso al cambiamento, mi viene in mente come prima immagine – quasi automatica – la filosofia del “tutto scorre” (“PANTA REI”, ERACLITO). Ogni cosa cambia, non c’è nulla di immutato e presumibilmente l’innovazione è semplicemente una risposta all'inevitabile perenne trasformazione del tutto.
Certo è, però, che mai come a partire dal 2020 tante abitudini personali e professionali sono state messe in discussione o eliminate dall'oggi al domani. Questo ha comportato – e sta comportando – innumerevoli sfide anche nelle organizzazioni. Forse mai come in questo momento la funzione del “Change Management” è risultata così strategica e fondamentale. Come si accompagna e favorisce il cambiamento mentre tutte le carte in tavola continuamente vengono messe in discussione? Fatico a pensare che ci sia qualcuno più avanti di altri in questa vera incertezza. Sono convinta, però, dell’importanza del confronto e dello scambio e con questa premessa ho deciso con Digital Attitude di intervistare alcuni Professionisti con esperienze e punti di vista di valore su questo macro argomento del cambiamento e su temi attuali come New Ways of Working, New Ways of Learning e Digital Mindset.
Apriamo questo spazio con Clemente Perrone, che ringraziamo di aver accettato da vero “Surfer” di “rompere il ghiaccio” in questa nuova iniziativa editoriale.
Ciao Clemente, si fa spesso polemica sull'utilizzo sfrenato e/o forzato dalla lingua “aziendalese” o inglese. Partendo da questa provocazione, seguendo una moda social, ti chiederei come prima cosa di dirmi disruptive, senza dirmi disruptive. Te lo chiedo perché è una di quelle parole più gettonate nel mondo del lavoro e mi piacerebbe sapere da un conoscitore come te delle organizzazioni che cosa si intende con questo termine e, soprattutto, se per te è un valore
Il cambiamento fine a sé stesso non è un valore, lo è quando diventa strumento abilitante una visione connessa all’evoluzione – parlando di contesti aziendali – della cultura organizzativa. Sentiamo la necessità di accompagnare la nostra quotidianità di prassi, riti, consuetudini, ma spesso, senza che ce ne si renda conto, diventiamo prigionieri delle stesse liturgie che abbiamo contribuito ad alimentare. Saper mettere in discussione l’attualità delle nostre scelte passate è il valore della cd disruption.
Entriamo nel vivo della tua esperienza professionale. Hai un ruolo importante in azienda, sei Chief Human Resources & Organization Officer del Gruppo Sirti. Dal tuo punto di vista, sono cambiate – e se sì, come – le esigenze delle persone prima e dopo la pandemia?
Le esigenze sono le medesime: bilanciamento vita privata-lavoro, confronto in sistemi aperti all’ascolto attivo, propensione verso una cultura in grado di sdoganare definitivamente il lavoro agile nella ridefinizione del patto di scambio dal desueto “tempo-vs-retribuzione” a un più evoluto “fiducia-vs-contributo”.
È aumentata, piuttosto, la consapevolezza da parte del singolo nello scegliere aziende che sappiano farsi parte attiva nella trasformazione dei rispettivi contesti, tenendo conto di queste loro aspettative, traducendole nei nuovi paradigmi del “New Way of Working”.
“New Ways Of Working”. Qual è la tua visione? Come si diffondono in azienda nuovi modi di lavorare?
Il tutto nasce dalla cultura aziendale. La stessa –come una sorta di metalinguaggio - ti permette di indirizzare comportamenti organizzativi laddove regole e procedure non sono chiare e - anche laddove dovessero essere perfettamente codificate - è la cultura che ti dà una chiave per vivere l'azienda e dare anche un senso al tuo contributo professionale.
Io credo che la cultura possa essere letta come l’insieme di azioni che determina il modo in cui l'azienda decide di fare business, di presentarsi al mercato, ai propri clienti e stakeholder.
In tal senso è la cultura aziendale che agisce da enzima per abilitare la definizione e la rapida implementazione delle buone pratiche che costituiscono la dorsale dei nuovi approcci al lavoro
“Nudging”. Un’espressione sempre più utilizzata nelle organizzazioni, proveniente dalla nudging theory (o teoria dei nudge). Parliamo di “spinte gentili” che incentivano determinati comportamenti, attraverso piccoli rinforzi positivi. Se tu avessi la possibilità di disegnare una di queste “spinte” per supportare i professionisti nel lavoro quotidiano, quale proporresti?
Mi piace enfatizzare la necessità di un nuovo approccio verso l’errore, esso stesso parte fondamentale del percorso di apprendimento. Dobbiamo operare per promuovere nei contesti aziendali una cultura fault-tolerant e improntata all’ascolto ma – ed è bene ribadirlo – ancora più selettiva nell’individuazione dei profili chiave, nella convinzione che le aziende nella ripartenza, per riprendere quanto affermato dal professor Luca Solari, abbiano bisogno “di meno eroi e più organizzazione”.
“Digital Attitude” sta promuovendo questa rubrica ispirazionale sul cambiamento. E l’ultima domanda vorrei fartela proprio sul tema Digital Mindset. Quali sono a tuo avviso dei modi utili per svilupparlo e tenerlo allenato?
Le aziende devono fornire sempre maggiori opportunità di crescita a quei professionisti che – nell’interpretazione del loro ruolo quotidiano – siano convinti di poter incidere attivamente sullo sviluppo della cultura aziendale. Per lavorare, oggi più che mai, serve un approccio “learning agility”, caratterizzato da spiccata flessibilità e accettazione del cambiamento.