by
Valentina Marini
Il viaggio dei “DATTER”.
Questo voglio raccontare nella seconda rubrica che mi vede coinvolta con Digital Attitude. Se in “Surfer People” dialogo con chi all’interno delle aziende surfa sulle onde dei cambiamenti organizzativi, qui desidero scoprire e mettere a fattor comune cosa c’è nei sogni, negli studi, nelle esperienze e, più in generale, nel “mindset” di chi - in questo periodo contrassegnato dalle “grandi dimissioni” o di “grandi scelte”, come recentemente rinominate da Cristina Casadei, in un articolo uscito su Il Sole 24 ore – investe, lavorando giorno e notte, spinto da un forte credo.
Parto dal nome, per me non scontato.
Dàt·ter, chi che crede in Digital Attitude.
Ma non solo: chiunque lavori per trasformare un sogno condiviso in realtà
Sinonimi: Nerd, sognatore, scopritore di nuovi mondi.
Persone accomunate dalla centralità nell'ascolto: per guidare e abbracciare le reali esigenze di chi affronta il viaggio straordinario del cambiamento. Persone convinte che il miglior modo per crescere sia basato sul fare e sulla capacità di prendersi cura di se stessi, degli altri e del contesto in cui viviamo.
Persone che conoscono cosa significa prendersi una responsabilità e amano quella sensazione. Eh già, perché i Datters hanno e avranno sempre la mentalità da startupper: velocità, agilità, spirito d’iniziativa e voglia di osare sono alla base del loro approccio a un mondo che cambia.
Questa breve descrizione è ciò che ho letto nel loro manifesto, che consegnano a chi entra nel team ed è quello che mi ha convinta che ognuno di loro potesse avere una storia interessante da raccontare per ispirarci. Così ho pensato di far emergere i loro punti di vista e le loro esperienze.
Dopo, Luca Argenton – CEO e Davide Pellegatta - Strategy & Governance Officer di Digital Attitude, oggi si presenta Francesco Pozzobon - Chief Sales & Marketing Officer.
Fin da bambino ho avuto un maldestro desiderio nella testa e nel cuore, quello di cambiare il mondo. Il fatto interessante è che la cosa poi è continuata rafforzandosi nel tempo (e destando in me non poche preoccupazioni 😊) fino a quando, al terzo anno di università - studiavo ai tempi Economia in Bocconi – ho desiderato mollare tutto (altro che “great resignation”…), non trovando corrispondenza nei percorsi più tradizionali, che a quel tempo caratterizzavano gli studi (finanza, marketing, management etc..), per “cambiare il mondo”. Certamente il mollare l’università non era un’idea così sana, visto anche il suo costo e gli sforzi di mio padre per permettermi di fare questo percorso formativo. Si avvicinava allora l’estate, che per me è sempre stato il periodo più bello e florido di esperienze e così, sui due piedi, ho pensato a mio zio missionario in Brasile e all’idea di organizzare con i miei amici di sempre un viaggio alla scoperta di un mondo per noi così nuovo e diverso: le favelas dell’Amazzonia. È stata l’occasione che ha segnato, determinato e avviato il mio percorso di vita personale e professionale e che mi ha visto poi tornare in quella terra, nel corso della mia prima esperienza di lavoro con una NGO, una volta terminata l’università, portando una tesi all’epoca sicuramente disruptive e strana per il contesto bocconiano, appunto sulle favela brasiliane. Il più importante e fondamentale beneficio di quel primo viaggio e atterraggio nella realtà brasiliana è stato il tornare con i piedi ben fissati a terra ed il convincimento che “cambiare il mondo” è proprio una ipocrisia, ma cambiare se stessi in relazione al mondo e nelle relazioni con la propria realtà è la sfida più bella che si porta avanti per tutta la vita, nuova e affascinante ogni singolo giorno, anche oggi in Digital Attitude.
Una premessa per spiegare la scelta: ho sempre cercato di coniugare due anime nel mio percorso professionale e di vita: la prima - quella creativa - stimolata da passione per l’arte e l’innovazione, con la seconda - quella più pragmatica (sono nato a sette mesi e sono del segno della vergine 😊) - e in cui strategia e imprenditorialità mitigano o cercano di indirizzare praticamente i benefici della prima. Grazie a queste propensioni ho imparato come quasi nulla delle idee, innovazioni o percorsi si generino o nascano come nuovi in se stessi o addirittura mai visti, bensì tutto si compone e origina dall'interpretazione di qualcosa che già c’è, magari dandone forme e contenuti differenti.
Questa premessa motiva la scelta di un libro a mio avviso interessante: “Ruba come un Artista. Impara a copiare idee per essere più creativo nel lavoro e nella vita” di Austin Kleon!
In quanto al film non ho alcun dubbio “Forrest Gump”, per tante ragioni e tra queste, facendo riferimento al mio percorso, la sua celebre frase “La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti può capitare”. Credo sia un’affermazione stupendamente vera e un monito quotidiano a coltivare attitudini e meraviglia in ogni momento o attività in cui la vita ci chiama in causa.
Sulla canzone, invece, torno all'anima battagliera e sognatrice dell’epoca del Brasile e propongo Patti Smith e la sua “People have the power”, con il significato che, al netto del fatto che tutto è donato, molto poi dipende da ciascuno per come si gioca la propria vita, i talenti ed il lavoro sui pezzi mancanti o da migliorare. Quindi ognuno ha il potere di… cambiare se stesso e contribuire a generare e accompagnare il cambiamento altrui.
Ho avuto la fortuna, nell’incrocio fra opportunità e capacità di coglierle, di incontrare persone e contesti che hanno poi determinato percorsi e anni importanti nella mia vita. Il primo, e sicuramente più significativo in termini assoluti, è stato l’incontro con Enzo Manes e la grande opportunità che mi ha dato di lavorare al suo fianco al disegno prima e costruzione poi del progetto Dynamo Camp. Avere un maestro è cosa spesso rara, un mentor come lui forse ancor di più: ho avuto la possibilità quotidiana di lavorare al suo fianco, apprendendo e immagazzinando (per poi farli miei nel tempo) tanti elementi, dai dettagli più nascosti a forti tratti macro del suo operare e relazionarsi con stakeholder diversi, con il mondo del business e della finanza. Entusiasmante infine essere stato parte del primo progetto in Italia di venture philanthropy: ovvero dove business e social impact trovavano il loro punto di tangenza a maggior valore.
Gli errori sono tanti, ma il bello è che da ognuno si impara, molto. Recentemente grazie ad un bel percorso di career coaching ho potuto riflettere e soffermarmi sulla differenza fra azione e re-azione, nelle scelte quotidiane, nelle relazioni di business (colleghi e stakeholder), così come nei momenti di cambiamento professionale e lavorativo. Andando indietro nel mio tempo ho potuto scorgere quanto questa differenza (errori di re-azione) sia stata centrale e determinante negli effetti poi di medio-lungo periodo: re-agire (pur con il dovuto riconoscimento di capacità decisionali) infatti porta a benefici spesso di solo breve periodo, mentre l’agire, che presuppone le fasi precedenti di ascolto prima ed elaborazione poi, porta a scelte vincenti nel medio e lungo periodo e più in linea con la corrispondenza alle proprie attitudini, inclinazioni e reali obiettivi.
Rigiro un po' il punto di vista proponendo una sintesi differente: credo che oggi sia fondamentale ripartire dalle cose più semplici, immediate, proprie appunto della nostra specifica natura di esseri umani e che ci accomuna, anche e soprattutto nella sfera lavorativa.
Il lavoro prende la parte più importante (quanto meno numericamente) del tempo della nostra vita e allora penso che, non solo per gestire o favorire il cambiamento, ma per vivere meglio dovremmo riappropriarci dei nostri cinque sensi durante il tempo di lavoro di ogni giorno.
Quanto, soffermandoci a riflettere sulle nostre abitudini, usiamo dei nostri cinque sensi in modo consapevole, profondo e gustandone gli effetti durante il nostro lavoro:
1. Respiro: per lo più respiriamo solo perché il corpo è una macchina perfetta e va da solo, ma quanto siamo consapevoli dell’aria che diventa fiato, parola, soffio e tocco di vita?
2. Udito: sentiamo sicuro, ma quanto ascoltiamo davvero noi stessi e gli altri intorno a noi?
3. Olfatto: i nostri spazi di lavoro quanto sono costruiti per permetterci questo e di dilatare la nostra esperienza?
4.Vista: dove è rivolto il nostro sguardo e come lo usiamo? Come intervalliamo i diversi scenari del nostro orizzonte che da lì prende benzina per il nostro motore di vita?
5. Gusto: nella continuità fra un meeting e l’altro (tralasciando chi fa il grave errore di saltare anche le pause pranzo) come possiamo dare gusto e sapore alle nostre giornate?
Oggi molto “sta cambiando” in senso positivo, ma tanto c’è da fare, a livello individuale, così come organizzativo.
Digital Attitute per:
caspita non vale, ho un nome troppo lungo, vado di divisione e accorpamento delle lettere del mio nome:
FR come le lettere iniziali di “freschezza”: in DA si respira sempre aria di freschezza e semplicità, anche e soprattutto per le persone che animano il team.
ANC come le iniziali di “ancora”: da amante del mare in DA ho trovato un gruppo e una società ancorata alla realtà con tutto ciò di positivo che questo comporta.
E come “eclettica”: nell'anima, cioè capace di diverse sfaccettature per incontrare al meglio persone e bisogni di cambiamento.
SCO come “scoperta”: quella che puoi fare ogni giorno relazionandoti con un cliente o un partner o nelle possibilità di risolvere in modo inaspettato pain points o per andare dritti al cuore del cambiamento scoprendo quanto sia bello accompagnarlo.